Autolesionismo

L’autolesionismo è un comportamento complesso caratterizzato dall’intenzionale inflizione di danno fisico al proprio corpo senza intenti suicidari. Questo comportamento è generalmente legato a dinamiche psicologiche, emotive e sociali profonde, che lo rendono un fenomeno di grande interesse clinico e accademico. Esso si manifesta attraverso una varietà di modalità, come tagli, ustioni, graffi, colpi autoinflitti, ingestione di sostanze dannose o manipolazione dannosa della propria pelle.

Un approccio integrato, che combini interventi psicologici, farmacologici e sociali, è fondamentale per affrontare efficacemente questa problematica e migliorare la qualità della vita delle persone colpite.

Etimologia

Il termine “autolesionismo” deriva dal latino:

  • Auto: dal greco antico αὐτός (autós), che significa “sé stesso”.
  • Lesionismo: dal latino laesio, derivato dal verbo laedere, che significa “ferire” o “danneggiare”.

Insieme, il termine descrive l’atto di ferire intenzionalmente sé stessi.

Definizione e classificazione

L’autolesionismo è comunemente suddiviso in due grandi categorie:

  1. Autolesionismo non suicidario (NSSI): comportamento autolesivo privo di intenti suicidari, spesso utilizzato come meccanismo di gestione emotiva.
  2. Autolesionismo con intenti suicidari: quando l’autolesione è associata a ideazioni o tentativi suicidari.

La distinzione tra queste due categorie è fondamentale per una corretta diagnosi e gestione clinica.

Modalità di espressione

Le forme più comuni di autolesionismo includono:

  • Tagli e graffi: spesso effettuati con oggetti affilati come rasoi, coltelli o vetri.
  • Ustioni: provocate mediante sigarette, superfici roventi o sostanze chimiche.
  • Colpi: autoinflitti attraverso pugni o sbattendo il corpo contro superfici dure.
  • Pelle: eccessiva manipolazione, come grattarsi fino a causare sanguinamento o croste.

Alcuni individui possono combinare diverse modalità, a seconda del loro stato emotivo o delle situazioni scatenanti.

Contesto diagnostico

Secondo il DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), l’autolesionismo non suicidario è identificato come una condizione clinica distinta. Per la diagnosi, i comportamenti devono essere presenti per almeno un anno e associati a una significativa compromissione della funzionalità sociale, lavorativa o personale.

Cause e fattori scatenanti

Cause psicologiche

L’autolesionismo può essere visto come un modo per:

  • Regolare emozioni: molte persone riferiscono di sentirsi temporaneamente sollevate da emozioni come ansia, rabbia, tristezza o senso di vuoto dopo un episodio autolesivo.
  • Gestire il senso di colpa: alcuni lo percepiscono come un mezzo per autopunirsi per errori reali o immaginari.
  • Aumentare la consapevolezza corporea: il dolore fisico può aiutare alcune persone a sentirsi “vive” o “presenti”.

Fattori di rischio

  • Traumi infantili: come abusi fisici, sessuali o emotivi.
  • Disturbi mentali: tra cui depressione, disturbo borderline di personalità, disturbi alimentari e disturbi d’ansia.
  • Pressioni sociali: bullismo, esclusione sociale o relazioni familiari conflittuali.
  • Stile di attaccamento insicuro: derivante da relazioni genitoriali problematiche.

Fattori scatenanti immediati

Gli episodi di autolesionismo possono essere innescati da:

  • Discussioni o conflitti interpersonali.
  • Eventi stressanti, come fallimenti scolastici o lavorativi.
  • Esperienze di abbandono o rifiuto.

Implicazioni fisiologiche e neurobiologiche

Fisiologia del dolore

Gli individui autolesionisti spesso manifestano un’alterata percezione del dolore. Studi hanno evidenziato una soglia del dolore più alta rispetto alla media, associata alla produzione di endorfine durante l’atto autolesivo, che può contribuire alla sensazione di sollievo.

Meccanismi neurobiologici

  • Sistema serotoninergico: anomalie nei livelli di serotonina possono influenzare l’impulsività e il controllo emotivo.
  • Asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA): alterazioni nella risposta allo stress sono frequentemente osservate in persone con comportamenti autolesivi.
  • Dopamina: il rilascio di dopamina durante l’atto potrebbe contribuire alla sensazione di gratificazione.

Trattamento e gestione

Psicoterapia

La terapia psicologica è l’approccio principale per trattare l’autolesionismo. Le modalità più efficaci includono:

  • Terapia cognitivo-comportamentale (CBT): aiuta a identificare e modificare pensieri e comportamenti disfunzionali.
  • Terapia dialettico-comportamentale (DBT): particolarmente efficace per il disturbo borderline, si concentra sulla regolazione emotiva e sulle abilità interpersonali.
  • Terapia basata sulla mentalizzazione (MBT): utile per aumentare la consapevolezza dei propri stati emotivi.

Farmacoterapia

Non esistono farmaci specifici per l’autolesionismo, ma trattare i disturbi sottostanti può aiutare:

  • Antidepressivi: per depressione o ansia.
  • Stabilizzatori dell’umore: nei casi di disturbo bipolare.
  • Antipsicotici atipici: per disturbi più gravi, come il borderline.

Interventi di supporto

  • Gruppi di supporto: condividere esperienze in ambienti sicuri può ridurre l’isolamento.
  • Educazione familiare: aiutare i familiari a comprendere e supportare il percorso terapeutico.

Prevenzione

La prevenzione dell’autolesionismo richiede un approccio multidimensionale:

  • Promozione della salute mentale: programmi scolastici e comunitari per migliorare la consapevolezza emotiva.
  • Accesso a risorse psicologiche: counseling precoce per individui a rischio.
  • Riduzione dello stigma: educazione pubblica per sensibilizzare l’opinione generale.

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